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Cultura
“…E ho detto tutto”
Trent’anni dopo che Peppino ebbe detto la sua
di Emanuela Cicoira
“Macché ho detto tutto… Ma che dici tu co’ ’sto ho detto tutto che non dici mai niente?…”. A un certo punto il maggiore dei fratelli Caponi apostrofa così il grezzissimo Peppino in “Totò, Peppino e la malafemmina”, uno dei film più celebri dell’affiatata coppia del cinema italiano.

Nella fortunata serie dei “Totò, Peppino e…”, una simile suddivisione di ruoli – Totò furbo, Peppino ingenuotto; Totò comico, Peppino spalla – ricorreva spesso. Si può dire che fosse congeniale a entrambi, il primo brillante genio comico portato all’improvvisazione, spesso nei panni dell’uomo di mondo e mente della coppia, il secondo perfetto nella parte del tamarro imbranato, del bonaccione un po’ bifolco (si pensi a “Totò, Peppino e i fuorilegge” o a “La Banda degli onesti”).

E se Totò, com’è noto, non fu amato dai critici, a Peppino De Filippo non toccò sorte migliore. Film dozzinali, una comicità poco colta, molto alla buona, troppo all’antica… la questione era pressappoco la stessa. Mentre sul primo si è rovesciato, però, negli anni, l’effetto boomerang del senso di colpa del mondo intellettuale italiano, tradottosi nei fiumi d’inchiostro delle tesi di laurea, dei saggi, degli articoli e di quant’altro potesse riabilitare al cospetto dell’alta cultura l’eclettico e popolare Principe De Curtis, sul secondo, per quanto indimenticato attore, grava ancora l’etichetta di comico “semplice”, tanto più radicata per via dell’immancabile confronto col fratello Eduardo, riconosciuto pilastro della drammaturgia nazionale.

Bravo sì, certo. Grande animale da palcoscenico (aveva fondato una sua compagnia dopo il risaputo screzio col fratello), autore di commedie e di farse, popolarissimo in tv (come scordare il suo Pappagone?), molto presente nel mondo del cinema (lavorò con registi del calibro di Lattuada, Soldati, Fellini)… Eppure, del “piccolo” del trio De Filippo, si è sempre evidenziata una minore raffinatezza artistica. Si è sempre detto che era diretto, spontaneo, senza amarezza;  “criticamente” parlando, gli si imputava la mancanza di quell’elemento di distinzione tra grande comico e comico “normale” che è la capacità di andare oltre la risata. In altre parole, Peppino faceva ridere e basta – l’”e basta” era la mancanza.

…E vi par poco? ”Fare piangere è meno difficile che far ridere. Per questo – sosteneva l’attore – preferisco il genere farsesco. Sono sicuro che il dramma della nostra vita, di solito, si nasconde nel convulso di una risata, provocata da un'azione qualsiasi che a noi è parsa comica”.
 
In fondo è vero, non aveva l’ambivalenza drammaturgica di Eduardo, neppure la poliedricità espressiva di Totò. Ma a ben vedere, oggi che ricorre il trentennale della morte dell’autore di “Quaranta ma non li dimostra”, del tipografo più erroneamente appellato della cinematografia italiana (Lo Turco – Turchese, La Terza, La Tazza, Lo Brigoli…), e della più maltrattata spalla della stessa (enorme la quantità di pestoni su mani e piedi di cui è vittima in tanti capolavori; gli fa concorrenza nel primato solo il buon Mario Castellani)… Oggi che il tempo ha consolidato nell’opinione collettiva l’immagine di un attore equilibrato e capace, specializzato in popolaresca cafonaggine, propenso al copione (non amava l’abitudine di raffazzonare le gags, per quanto finisse col produrre risultati eccellenti) e nonostante ciò capace di stare al gioco, di tenere il ritmo, di servire e di scambiare battute; oggi, dicevo, si può semplicemente ammettere che una certa  superficialità nel giudizio è derivata proprio dal principio del confronto.

Peppino era Peppino. Non il fratello di Eduardo, nemmeno la migliore spalla di Totò. Peppino, punto. Diceva già abbastanza di suo, aveva il suo stile e il suo timbro, e la sua sagoma inimitabile.

Nessuno, nel citato “…e la malafemmina”, alla battuta di Totò sull’acquisto di un trattore che avrebbe fatto invidia all’antipatico Mezzacapa, avrebbe potuto rispondere meglio: “ma a me i buoi m’erano simpatici…”.

Pochi altri comici, a tanti anni di distanza, sono così vivi nell’immaginario collettivo degli italiani.

Perciò non si preoccupi, il figlio Luigi, per l’assenza di celebrazioni cui si è accennato in un’intervista su Il Mattino. “Ci sono io che mi do da fare per tenerne sempre viva la memoria”, ha assicurato. Ma non gli costerà alcuna fatica: ha già detto tutto suo padre!...

25/1/2010
  
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