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Calcio
Non nominare il nome di Moggi invano
I dieci comandamenti nel calcio - 2
di Mimmo Carratelli (da: Guerin Sportivo )
Tra la fine del secolo e il nuovo, diciamo nell’arco di sedici anni, dal 1989 al 2005, il sole tramontò sul regno degli Ambrosiani che smarrirono la strada della vittoria mentre le tribù juventine e milaniste si spartivano i pani, i pesci, i diritti televisivi, i designatori arbitrali e lo scudetto. Questo avvenne contemporaneamente all’apparizione di un dio, uno e triade, dei cui miracoli si discusse a lungo fino alla cacciata di 38 mercanti dal tempio.

In questo straordinario periodo saltò del tutto il secondo comandamento, non nominare il nome del dio invano, stravolto dalla presenza in terra e in ogni luogo, e specialmente alla televisione e negli spogliatoi degli stadi, del dio della triade. Il suo nome dilagò e venne invocato, implorato, adulato, stampato, teletrasmesso, onorato e citato in ogni luogo e in giudizio.

La Triade è stato un fenomeno di grande suggestione arbitrale, di grande cultura di amicizie appropriate e di estremo rigore scientifico nella soluzione di enigmi e problemi dell’area di rigore con la trasformazione di ogni dubbio e danno in moviola.

Tutto andò bene fino al tradimento di un nuovo giuda, il telefonino.

Quando il 3 aprile 1973 Martin Cooper, 45 anni, di Chicago, magro e disinvolto ricercatore della Motorola, chiamò da una strada di Manhattan il suo amico Joel Engel, ricercatore rivale della Bell, con un telefono senza fili, pesante un chilogrammo, avendo praticamente inventato il telefonino, brevetto US 3906166, non immaginava la straordinaria popolarità che il “cellulare” avrebbe avuto trentuno anni dopo in Italia sconvolgendo il mondo del calcio.

Dopo l’Orecchio di Dionisio, prodigioso “amplificatore” nella roccia di Siracusa attraverso il quale il tiranno Dionigi curiosava nei discorsi dei suoi prigionieri rinchiusi in una cava sottostante, il telefonino è stato il più straordinario apparecchio di comunicazione, ma anche un deplorevole strumento per lasciare tracce.

Il 12 maggio 1993, il boss della camorra Michele Zaza fu catturato a Nizza in seguito a una telefonata che aveva fatto tre giorni prima col cellulare per sapere il risultato del Napoli nella partita contro il Genoa ai tempi di Careca e Fonseca. Telefonata intercettata e posizione del latitante identificata.

Nel dicembre 2001, nel corso della battaglia di Tora Tora tra le montagne dell’Afghanistan, Osam Bin Laden, localizzato attraverso le conversazioni sul suo cellulare (00873-682.505.331 come qualcuno rivelò), si liberò del telefonino consegnandolo a un suo uomo fidato, Abdallah Tabarak, che si allontanò dalla porta opposta dove fuggì il capo di Al Qaeda portando fuori pista gli americani. Tabarak fu catturato.

Più furbo, il capomafia Bernardo Provenzano non usò mai il telefonino preferendo inviare messaggi e ordini attraverso i “pizzini”, piccoli pezzi di carta. Fu catturato, pare, per un traffico di biancheria diretta al suo rifugio in un casolare di Corleone l’11 aprile 2006 dopo quarantatre anni di latitanza.

Questi precedenti ammonitori non impedirono il clamoroso incrocio di telefonini e telefonate tra il 2004 e il 2006, nel trionfo di schede internazionali della Switzerland Mobile Sunrise, della Ring Mobile del Liechtenstein e di un operatore sloveno, con cui l’uomo chiamato Luciano (striscione memorabile: “Che cosa vuoi di più dalla vita? Un Luciano”) pigiava i suoi sette telefonini parlando e ricevendo al ritmo inverosimile di 413 chiamate al giorno, sette al minuto. L’uomo (non nomineremo il nome del dio invano, il dio della triade) sconvolse l’etere, mandò in crisi i satelliti, affollò i tabulati e ridusse alla follia il maggiore Attilio Auricchio impegnato a tracciare una mappatura delle utenze riservate con le schede dei tre operatori stranieri.

In alcune opportune circostanze il nome del dio non fu nominato invano (invano veritas). Infatti, le conversazioni telefoniche, apparentemente anonime, iniziavano con una parola d’ordine, “apri”, sbrigativa e per niente affascinante rispetto alla storica introduzione telefonica del costruttore Gaetano Caltagirone a Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti: “A fra’ che te serve?”. Altra epoca e altri telefoni.

Le conversazioni intercettate sul terzo e più pesante scandalo del calcio italiano non solo assillarono e riempirono le pagine dei giornali sfociando in televisione, dove venivano lette da finti dicitori che riproponevano i colloqui, ma dilagarono fino all’università romana di Tor Vergata. La ricercatrice Francesca Dragotto, attraverso una indagine in due tempi e una successiva votazione su Internet, stabilì in quei giorni che la parola “Moggiopoli”, con più di due milioni di derivati (moggitudine, muggite, jogging), risultò quella più popolare nel 2006 precedendo Gomorra, Sofia, Nicola, Ballarò e sopravanzando del doppio la citazione di Tommy, il nome del ragazzo sequestrato e poi assassinato quell’anno nel Parmense.

Non nominare il nome del dio invano. Tuttavia dopo l’abbuffata del 2006, il dio uno e triade continuò a essere nominato nei quotidiani e in tv. Egli stesso fu presente e immanente, come nei 31’46” dell’intervista barbarica con Irene Bignardi, nell’imitazione di Neri Marcorè e nell’eco mai spenta del gran parlare nazionale sullo scandalo che costò uno scudetto e una retrocessione alla Juventus, e una cosa così non era mai successa. Ma l’autorevole “Times” considerò appena l’affaire italiano, degradandolo a “scandaletto” fra le turpitudini e i trucchi dello sport, e piazzò “Moggiopoli” al settimo posto fra i cinquanta scandali sportivi mondiali di tutti i tempi, in testa un asso sudafricano del cricket, Basil D’Oliveira, che divenuto cittadino britannico raccontò molte frottole sul suo conto in Inghilterra, e anteponendo al disastro italico otto giocatori di baseball del Chicago White Sox che s’erano vendute un bel po’ di partite, l’imbottito di steroidi Ben Johnson, “l’uomo dagli occhi gialli”, il Tour 2004 con tre ciclisti e due intere squadre dopati, un altro scandalo del cricket e la pattinatrice Tonia Harding che suggerì al marito di spezzare le gambe alla sua rivale Nancy Kerrigan, desiderio eseguito da un killer assoldato dal consorte che con una spranga di ferro mise a segno un colpo a un ginocchio della vittima. Solo al 29^ posto la mano de dios di Maradona.

Altri avvenimenti infiammarono l’opinione pubblica. La caduta dell’impero romano d’occidente (Lazio campione 2000 e Roma campione 2001 non vinsero più lo scudetto). Nell’estate del 2005 comparvero i furbetti del quartierino, comprendente tre immobiliaristi, un banchiere, il fotografo molto speciale Fabrizio Corona e l’abbondante press agent dei vip Lele Mora, neanche paragonabili ai furbetti e ai furboni del calcio e perciò presto dimenticati. Nel popolare quartiere di Barra da Tijuca, a Rio de Janeiro, Ronaldo rimase incastrato da tre travestiti mentre su una strada occidentale della città brasiliana Adriano con la sua Audi TT saltò su uno spartitraffico andando a incastrarsi contro tre vetture. Emozioni passeggere. Niente e nessuno raggiunsero la popolarità del dio uno e triade e la vicenda dei telefonini e, naturalmente, niente fu come prima.

Oggi il Signore dei Tranelli vive una vita di martire e di capro espiatorio. Dà spesso notizie di sé e ha divulgato un testamento dal titolo “Un calcio nel cuore” di 250 pagine al prezzo di dodici euro. Sono stati ripiegati tutti gli striscioni blasfemi compreso il deplorevole “Sono anni che gioco la schedina, se chiedevo a Moggi facevo prima”, ultima inosservanza del secondo comandamento, non nominare il nome del dio invano.

7/7/2008
  
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