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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 9
di Mimmo Carratelli
Diego Maradona con Claudio Gentile al mondiale dell'82(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)
Dov’è l’Argentina che deve spaccare il mondo, pibe? Deconcentrata e imballata a Villajoyosa, in un caldo giugno spagnolo. Non va, non va. Sei l’attesa “stella” del mondiale 1982, a ventidue anni. Sei la futura “stella” del Barcellona. Da te pretendono ghirigori e gol. Ma i muscoli sono stanchi.
Vai in campo contro il Belgio con una infiltrazione e il debutto è proprio a Barcellona dove t’aspettano nel club azulgrana.
I belgi sono tosti e tonici. Siete una formazione coi fiocchi, ma i fiocchi sono ammainati: Fillol; Olguin, Tarantini; Gallego, Luis Galvan, Passarella; Bertoni, Ardiles, Diaz, Maradona, Kempes. Il vecchio Kempes, trent’anni, è alla frutta, non farà neanche un gol e, dopo il mondiale, si metterà a fare l’attore di film a luci rosse. I belgi vi cucinano a fuoco lento e dopo un’ora di gioco cavano il golletto decisivo. Il poeta Valdano sostituisce Diaz, ma rimane lo 0-1. Rabbia e delusione. L’arbitro cecoslovacco Christov non ti concede un rigore.
Quattro giorni dopo, ad Alicante, l’Ungheria è più morbida, l’Argentina dilaga. Nel 4-1 piazzi una doppietta: una “palombella” e un tiro da fuori. La qualificazione al secondo turno è in tasca perché alla terza partita c’è il Salvador che dall’Ungheria ha preso dieci gol. Gliene date solo due. I salvadoregni ti riempiono di botte. Segnano Passarella su rigore e Bertoni.
Il secondo turno, con Brasile e Italia, può essere il paradiso o l’inferno. Si gioca nel piccolo stadio “Sarrià”, non è il “Nou Camp” del tuo destino spagnolo. Ti tocca l’Italia a prima botta. Il gioco si fa subito duro. Gentile, che si è fatto crescere i baffi per spaventarti, ti lavora alle caviglie. Ti innervosisci. Non hai la cattiveria di Sivori per replicare e l’arbitro romeno Rainea lascia fare.
Comincia male e finisce peggio. Stampi sul palo uno dei tuoi mirabili calci di punizione: Zoff si inchina alla buona sorte. Due sventole di Tardelli e Cabrini lasciano Fillol di stucco e portano l’Italia sul 2-0. Il gol all’83’ di Passarella su una veloce punizione ti fa sperare, ma dovete giocare gli ultimi sei minuti in dieci: Gallego si fa espellere. La partita sfiora la rissa. E’ 2-1 per l’Italia.
I giochi non sono ancora fatti, però bisogna battere il Brasile delle “stelle” per andare avanti. Bisogna battere Falcao, Cerezo, Zico e il dottor Socrates. Carica! Ma quelli vanno in vantaggio subito con Zico ed è una partita in salita. Danzano i brasiliani e ti viene il nervoso. Dilagano e vedi rosso. Stai uscendo fuori dal mondiale, pibe. Il Brasile va sul 3-1, il gol di Diaz a un minuto dalla fine non serve a niente.
Soffri, maledici, hai il cuore in tumulto. Scarichi la tua rabbia nel finale, preso in mezzo dal tic-tac-toc arrogante dei brasiliani. Vuoi dare un calcione a Falcao, che fa il reuccio in mezzo al campo, e invece colpisci il povero Batista che è appena entrato al posto di Zico.
E’ finita. Il mondiale è andato, il tuo primo mondiale. Paghi più di tutti perché tu eri la “stella” attesa.
Il ritorno a Buenos Aires è triste e maledettamente complicato. Perché ora sei un “traditore”. Non hai conquistato il mondiale per l’Argentina e l’abbandoni per andare in Europa, al Barcellona.
Ti sottrai agli occhi del mondo rifugiandoti sulla spiaggia di Atlantida, in Uruguay, dove hai comprato una villa, dove ci vai con gli affetti più cari, papà Chitoro e mamma Tota, i fratelli, Claudia Villafane. La “botta” spagnola è dura e fai fatica ad assorbirla. Intanto, giornali e televisioni si accaniscono sul tuo passaggio al Barcellona, “il trasferimento del secolo”.
Si perdono nel tempo le belle frasi. “Maradona si muove sul campo con l’eleganza di Fred Astaire” aveva scritto il “Sunday Mirror”. “La forza di Diego è nella sua capacità di dominare la partita, di non subirla mai” aveva detto Menotti. “Maradona es el futbol mismo” ha titolato “El Grafico”. Hai solo ventidue anni e sei in un tornado, aggredito dai giornalisti, dai tifosi, dai dirigenti, non solo dagli avversari sul campo.
Non c’è più il “Pelusa” delle “cebollitas” dell’Argentinos che palleggiava per tre quarti d’ora e andava nella chiesa della Vergine Bambina a Villa del Parque a ringraziare Dio “per tutto quello che mi ha dato”. Il mondo ti è addosso ed è una pressione insopportabile. Nessuno può dire che cosa ti succede dentro e che cosa ti squarcia l’anima consegnandoti più tardi a un destino crudele. Ancora ragazzo, devi crescere troppo in fretta, mangiato dalla vita.
Fai le valigie per la Spagna. “Stessa lingua, non avrò problemi”, dici. Sei carico di sogni e progetti: “Il Barcellona è la società che fa per me. E’ il più grande club del mondo, migliore anche della Juventus”. Ma non conosci l’alterigia dei catalani che danno del “sudarco”, unto, sudato, sporco, ai sudamericani, un appellativo di disprezzo. Il settimanale “Don Balon” scrive: “Boom Maradona, sei milioni di dollari che parlano, corrono e segnano gol”. I soldi, sempre i soldi. E quand’è che il calcio tornerà il gioco che hai sognato?
28/5/2004
  
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