Un pessimo segnale
di Vittorio Del Tufo
(da: il Mattino del 29.08.2015)
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Identificati, interrogati e graziati. I teppisti che mercoledì hanno preso a sprangate un capotreno, sfasciato una carrozza, devastato una stazione e preso in ostaggio trecento viaggiatori terrorizzati, se la sono cavata con una denuncia, uno scappellotto e via. Per loro le bastonate al ferroviere sono una medaglia da appuntarsi al petto: «Pentiti? Ma quando mai: siamo pronti a rifarlo». Noi, invece, siamo alla resa.
Una denuncia e a casa. Diventa francamente difficile spiegare ai cittadini come sia possibile che a trentasei ore dall’assalto al treno non uno solo dei responsabili del raid e del pestaggio sia finito in galera. Diventa difficile immaginare quali altri reati, quali altri atti di vandalismo avrebbero dovuto compiere questi campioni di civiltà per essere sbattuti dentro.
Lo Stato che dice: tolleranza zero, e manda la polizia a scortare i treni, è lo stesso Stato che non riesce a punire, neanche con una notte di galera, il branco armato di sanpietrini e bastoni di legno che ha trasformato una stazione ferroviaria in un campo di battaglia.
L’indulgenza è un segnale gravissimo perché ha il sapore della resa, e alimenta il dubbio che la lotta al crimine di strada, nelle periferie sventrate dal degrado e dall’illegalità, sia una battaglia persa. C’è una parolina contro la quale continuano a infrangersi, da anni, le promesse di legalità, i trattati di sociologia criminale e gli sforzi di repressione delle forze dell’ordine e della magistratura. Si chiama impunità ed è la certezza di farla franca, sempre e comunque.
Gli autori del raid di Casoria sono ragazzini, quasi tutti minorenni,ma il loro vocabolario è quello della camorra, della sopraffazione: se c’è una guerra questa guerra la stanno vincendo loro; contro le babygang le nostre armi, le armi dello stato, sono spuntate. Lo dimostra, da anni, l’inconcludenza del dibattito sull’abbassamento dell’età imputabile.
Minorenni, ma sui loro volti la stessa ferocia dei boss in carriera.
Di fronte alla protervia del branco, di quelli che Scerbanenco chiamava i ragazzi del massacro, continuiamo a oscillare tra disincanto e paura, tra rassegnazione e decisioni di pancia. Oggi la scorta armata ai bus e ai treni, domani l’esercito e i reparti a cavallo.
Facciamo fatica a immaginare che sia possibile scortare ogni treno, ogni bus preso di mira dai vandali, ogni piazza sottratta alle regole del vivere civile. Tra qualche giorno delle scorte ai treni non si parlerà più. Le decisioni di pancia, dettate dall’emergenza, hanno il respiro breve: come la tolleranza zero e le lacrime del giorno dopo.
I cinquanta teppisti di Casoria, dopo il raid a colpi di spranghe, sono stati spalleggiati e protetti dai loro parenti. Questi
ultimi, quando si è trattato di decidere da che parte stare, non hanno avuto un solo momento di esitazione: dalla parte dei loro figli, contro lo Stato.
Ma il termine anti-Stato non ci sembra appropriato; qui siamo nei territori dell’anti-civiltà.
La verità è che nella sterminata area metropolitana di Napoli sta prendendo forma un lungo addio. Addio alle speranze di crescita economica, addio alle prospettive di riqualificazione ambientale, addio ai progetti di risanamento sociale. Essiccare la malapianta della criminalità giovanile, che si nutre di spavalderie di branco e del disprezzo chirurgico per le regole, sarà impossibile fino a quando il coltello dello Stato non riuscirà davvero a penetrare, con una radicale operazione di bonifica sociale, in questo grumo di desolazione, disagio e degrado metropolitano.
Ma siamo all’anno zero: la criminalità che si nutre di stracci, che dilaga e prospera sulle macerie del welfare, continua a riportare indietro le lancette della storia.
Nessuno, oggi, può dire in tutta onestà di disporre di una soluzione. La criminalità è una grande emergenza regionale e il dibattito politico è affollato di soluzioni che, finora, sono state ben poco risolutive.
Ma qualche segnale, ogni tanto, lo Stato ha il dovere di darlo. Deve darlo nelle sue diverse articolazioni, in uno sforzo che chiama in causa i sindaci e il presidente della Regione, le scuole e le forze dell’ordine, le famiglie e le forze intellettuali spesso impegnate a discettare del sesso degli angeli o a lambiccarsi in discussioni inutili sugli effetti mediatici di Gomorra e sui rischi di una rappresentazione stereotipata delle cosche criminali.
Di quelle cosche, i ragazzi del branco - come quelli rispediti a casa da mamma e papà dopo aver messo a ferro e fuoco la stazione di Casoria - sono il fiume sotterraneo.
Che oggi, più di ieri, non conosce argini.