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La politica (e i politici) oltre il trasformismo
di Vittorio Del Tufo (da: il Mattino del 3.05.2015)
Nsl Dna di certi partiti, e di certi clan familiari, dev’esserci un gene che l’evoluzione del panorama politico negli ultimi anni non è riuscito a modificare.

Questo immutabile gene ha fatto capolino nel patto a sorpresa siglato a meno di un mese dal voto, praticamente in zona Cesarini, tra il candidato del centrosinistra Vincenzo De Luca e l’eterno leader dell’Udc Ciriaco De Mita.

No, non siamo al trasformismo. Siamo oltre il trasformismo: siamo nei territori di una certa politica pattizia (trasversale ai due schieramenti: nessuno si senta escluso) dove le alleanze si fanno e si disfano per un grumo di voti. Alleanze che maturano addirittura all’insaputa, se non a dispetto, delle segreterie locali dei partiti.

Il colpo di scena che ha ribaltato il quadro delle alleanze a meno di un mese dal voto rischia di essere, paradossalmente, un boccone difficile da mandare giù proprio per il partito di De Luca, il Pd, i cui dirigenti regionali, ancora una volta, dimostrano di aver perso la bussola e di contare come il due di briscola, dal momento che nulla sapevano dell’accordo De Luca-De Mita e, per ammissione del segretario regionale, Assunta Tartaglione, quell’accordo lo hanno praticamente subìto, senza poterci mettere becco.

Un’altra bella prova di leadership e di controllo del partito dopo quelle inanellate in passato.

Fino a qualche tempo fa il solo nome De Mita produceva in Vincenzo De Luca una smorfia da travaso di bile.

Quando il leader Udc appoggiava apertamente il centrodestra, l’ex sindaco di Salerno non esitava a definirlo «un problema politico che si trascina da quarant’anni». Dichiarazione più che legittima, dal momento che De Mita, all’epoca, era dall’altra parte della barricata e, da quella parte, faceva valere il suo (notevole) peso politico.

E ora? Proverà imbarazzo De Mita nell’affratellarsi a colui che, fino a ieri, lo considerava quasi il male assoluto?

Certamente no, perché in politica l’importante è vincere, e al diavolo de Coubertin.

La verità è che la politica (e qui va ribadito: in entrambi gli schieramenti) è l’arte delle convenzienze incrociate. E così l’ottantasettenne ex presidente del Consiglio, che ha scritto (ieri) pagine importanti della storia del Paese, ha ritenuto opportuno schiacciarsi (oggi) in una trattativa di notabilato e di micropotere che solo lontanamente può ritenersi ispirata a nuovi «laboratori» o scenari politici nazionali.

A dimostrarlo sono le modalità e la stessa tempistica di questa piroetta quasi al fischio finale, visto che il leader Udc ha scelto di abbracciare De Luca, anziché Caldoro, solo dopo il fallimento della trattativa, in corso da tempo, con il governatore uscente. Trattativa che, sia chiaro, seguiva gli stessi binari delle convenienze reciproche.

E non è certo un caso che quella trattativa si sia arenata quando il leader di Nusco non è riuscito a ottenere quello che aveva chiesto, cioè la testa di due avversari interni, Foglia e Sommese, colpevoli di aver lasciato l’Udc per il Nuovo Centrodestra di Alfano.

Sia chiaro: di piroette, ribaltoni e giravolte la politica è piena da sempre, e solo gli stupidi non cambiano mai idea.

Lo stesso ex sindaco di Salerno, che stupido non è, troverà il modo di ornare con fregi, ghirlande e motivazioni profonde quello che agli occhi di tutti rischia di apparire come un’operazione dettata da un puro calcolo di convenienza politica. Dall’esigenza, cioè, di imbarcare chiunque pur di mettere le mani su un serbatoio di consenso elettorale che altrimenti sarebbe approdato sull’altra sponda.

Ma una domanda è legittima: siamo proprio certi che sia questa, e solo questa, la politica?
3/5/2015
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