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Le luci dell’Expo e l’irrilevanza del Meridione
di Ernesto Mazzetti (da: il Mattino del 3.05.2015)
Un primo maggio vissuto tra armonie e dissonanze.
L’armonia dei concerti milanesi al Duomo e all’Expo e del tradizionale concertone romano per la Festa dei lavoratori. Le dissonanze della Milano vulnerata dalle incendiarie scorrerie dei black bloc, che chi doveva non ha saputo prevedere e contrastare.

E il contrappunto dei sindacati: con grida di dolore dalla Taranto afflitta dalle devastazioni ambientali e sociali per la crisi dell’Ilva; con gli accenti mesti e vibrati da Pozzallo, l’approdo dei tanti disperati che, vivi o morti, arrivano da noi.

Sogniamo tutti giornate di indisturbate armonie. Purtroppo rare. Certo l’apertura dell’Esposizione universale milanese è occasione importante per riaffermare fiducia nella capacità del Paese di darsi un futuro migliore.

La voce di Andrea Bocelli che intona «La forza del sorriso» ne esprime l’augurio. Entusiasma la Banda dei Carabinieri che innanzi alle decine di migliaia di persone convenute all’Expo esegue «La vita è bella» e quella melodia, napoletana ma ormai mondiale, ch’è «'O sole mio».

Esorta alla fiducia il premier Renzi. Fa sua la felice manomissione d’una strofa dell’Inno di Mameli appena compiuta dal coro dei bimbi: «siam pronti alla vita», invece che «alla morte». Dichiara che con l’apertura dell’Expo inizia il «domani d’Italia». Vorremmo credergli. A prescindere da schieramenti politici.

S’è scritto che grazie all’Expo Milano per sei mesi sarà il centro del mondo. Fa piacere pensarlo, ma temo che l’enfasi travolga la realtà d’un pianeta ch’è vasto e complesso. Dove ancora milioni di persone soffrono la fame, come ha ricordato Papa Francesco nel suo messaggio a questa Esposizione dedicata alla nutrizione.

Il cibo come tema e come problema; motore della storia, di conflitti. Movente di migrazioni epocali. Se ne dovrebbe produrre a sufficienza per i nove miliardi di uomini che si prevede vivranno nel 2050.

Può darsi che con scienza e saggezza ci si riesca. Purché prevalga volontà di pace. Il reverendo Thomas Robert Malthus scrisse nel 1798 quel «Saggio sul principio della popolazione», celebre per la previsione d’un fosco futuro dell’umanità avviata ad una crescita demografica in progressione geometrica, troppo veloce rispetto alla disponibilità di cibo tendente a crescere in progressione aritmetica.

Ai suoi tempi la popolazione mondiale non raggiungeva il miliardo. Il fatto che oggi, nonostante guerre ed epidemie, superi i sette miliardi, induce a ragionare d’un futuro possibile. Anche se sempre ci saranno pochi che di cibo ne avranno troppo, e molti che ne avranno poco.

Il presidente Mattarella, che non era a Milano ma al Quirinale, ha parlato del lavoro. Rammentando che nel Sud scarseggia; e lamentando che la mancanza di lavoro accentua la distanza tra le nostre regioni e il resto del Paese e dell’Europa.

A proposito dei divari, val la pena ricordare il caso emerso durante la preparazione dell’Expo. Destò impressione che dei seicento giovani selezionati (su trentamila) per varie mansioni durante i sei mesi della rassegna, l’ottanta per cento avesse rinunciato, lasciando il posto a chi li seguiva.

Non perché fannulloni; preparati e plurilingue, erano in grado di trovar qualcosa di meglio del contratto loro offerto, apprendistato con 1.700 euro mensili.

Sarebbe un sogno per i tanti laureati di casa nostra che s’adattano a lavori di commessi, vigili urbani, uscieri; seppur li trovano. Per i giovani che con contratti a termine e pochi soldi s’alternano alle casse dei supermercati; ai camerieri precari, ai manovali pagati in nero.

Il Sud. Ancora un altro mondo. L’economista Mariano D’Antonio ha guidato un gruppo di studio alla ricerca di risposte al quesito «Chi ha cancellato la questione meridionale?», come recita il titolo d’un volume appena pubblicato.

Riflessioni nate «dall’insoddisfazione per il vittimismo diffuso nell’opinione pubblica del Mezzogiorno». Che adducono, purtroppo, a considerazioni amare.

«I pregiudizi anti-meridionali – scrive D’Antonio – esistono ma non bastano a spiegare l’irrilevanza a cui è pervenuta la questione meridionale». Che in buona parte è «da attribuire ai meridionali stessi, ai loro comportamenti». Un debole spirito civico diffuso in ampie fasce della popolazione «interagisce con l’inefficienza delle istituzioni rappresentative, con il fiacco governo locale».

Ci ritroviamo una Napoli Città metropolitana; avremo tra un mese nuovi eletti alla Regione Campania. Mi piacerebbe che l’una e l’altra istituzione fossero in grado di smentire le conclusioni di D’Antonio.

Dubito possano riuscirci.
3/5/2015
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